#tentativi di riflessione
Explore tagged Tumblr posts
Text
La questione linguistica nell'inconscio
A me piace pensare che il bambino impari a parlare nel rapporto simbiotico con la madre (Winnicott) – o caregiver – semplicemente per imitazione. E cioè il bambino sente che il mondo intorno a lui produce dei suoni ed inizialmente tenta semplicemente di riprodurli. Il bambino imparara attraverso l'imitazione. Probabilmente ha anche ragione Freud quando dice che quello di parlare è un tentativo di dominare l'angoscia della scarica fisica ma credo che ciò avviene solo perché il bambino man mano impara a capire che esistono innanzitutto dei suoni che lo incuriosiscono e tenta di riprodurli, successivamente capisce che quei suoni servono come strumento di comunicazione e cioè per far capire e far fare all'altro delle cose (le sue cose), che quei suoni servono per spiegarsi le immagini che vede all'esterno e all'interno e che servono dunque per pensarsi e pensare. L'Io deve essere già formato per far parlare il bambino (Klein, se non erro)? Mah, sì e no. Nel senso che il bambino impara a riconoscersi un Io e quindi ad approfondire la sua vita inconscia quando scopre che esistono dei nomi e successivamente delle spiegazioni ai suoi moti interiori sia fisici che mentali. Insomma senza il filtro del linguaggio non ci sarebbe il dentro-fuori per il bambino ma sarebbe tutto sullo stesso piano, così come è all'inizio: non a caso il bambino impara prima a riconoscere lo stimolo della cacca ma non lo nasconde va dalla mamma tutto contento a dire che deve fare la cacca. Tutto rimane sullo stesso piano, solo dopo, sempre attraverso il filtro del linguaggio e cioè proprio l'elemento che lo liberava dal buio della non-spiegazione, lo lega allo schema del morale-immorale sconveniente-adeguato.
9 notes
·
View notes
Text
Si può analizzare se stessi?
Inizierei a rispondere con questa riflessione:
Non possiamo ascoltare la nostra voce. Ciò che ascoltiamo è una deformazione meccanica della nostra voce causata dal cranio. Per ascoltare la nostra voce occorre utilizzare uno strumento altro. Un terzo elemento che la registri. Il nostro odore. Non sentiamo il nostro odore, essendo nostro non lo si può distinguere, ci siamo abituati, solo l'altro può sentirlo. Quanto sono fondamentali, per un infante ad esempio, per due amanti, la voce e l'odore. Elementi imprescindibili e preziosi di un'unione unica. Vale questo anche per l'inconscio. Non possiamo conoscere il nostro inconscio se non attraverso "il discorso" che ne facciamo rivolto ad un altro. L'inconscio si svela a noi stessi solo in rapporto con un altro. Le nostre cose più intime e così importanti non possiamo sentirle se non attraverso un altro.
Ci si può auto-analizzare, intraprendere da soli un’analisi?
È impossibile.
Perché prima di tutto è, evidentemente, un'esperienza di incontro con un altro in una relazione organizzata per uno specifico scopo. Inoltre, analizzarsi significa “vedersi” e fare esperienza di aspetti di sé anche rimossi e la complessa relazione entro cui tutto questo avviene, tra analista e paziente, non è realizzabile in altro modo, né in autonomia.
Se una persona conoscesse le motivazioni per cui il suo comportamento, il suo sintomo, si esprimono creandogli disagio, non gli occorrerebbe rivolgersi ad uno psicoanalista. Ciò che si esprime con il sintomo, infatti, è il frutto di una serie di trasformazioni e/o spostamenti interni messi in atto, in maniera inconsapevole, per tentare di tutelare la persona da quote di angoscia che, con questo dinamismo psichico, viene in qualche modo "lavorata" e spostata su altro.
La persona elabora coscientemente molte "spiegazioni" personali al suo stesso disagio. Ciò a cui la psicoanalisi si orienta, tuttavia, è l'"assenza" non in quanto inesistenza ma in quanto "nascondimento" ben avvenuto (rimozione) delle questioni più complesse da esplicitare e da integrare nella coscienza e che spingono, in quanto dotati di vitalità psichica, affinché vengano inclusi nello scenario interno della persona.
Il processo di comprensione e analisi non è possibile che avvenga con gli stessi occhi (del paziente) per i quali i suoi contenuti interni vengono anche lavorati per essere difensivamente gestiti al meglio.
Solo attraverso la relazione con l'Altro, formato e analizzato, si può essere in grado di cogliere il discorso latente che si organizza dietro quello manifesto dei sintomi e del comportamento.
Spesso chi ha un disagio è confuso, preoccupato, ha fatto tanti tentativi per cercare di "darsi una spiegazione", "non sa come, cosa né perché possa stare male", può affermare: "non ho niente ma sto male". Evidenza che a "fare male" è una "mancanza" nella coscienza, mancanza di aspetti interni non ancora ri-significati o integrati, di senso o di significato.
Cit. dal blog -InPsiche-
2 notes
·
View notes
Text
Naturalmente sono in ritardo, giusto di un paio di mesi... Ok, let'see if I remember... Letti fra Giugno e Agosto, l'ordine non è esatto.
"Nella stanza dell'imperatore", di Sonia Aggio: ambientazione storica, fra Costantinopoli e l'Anatolia... bel libro, in cui l'aspetto storico non prende il sopravvento su quello romanzesco e fantastico ma è di grande supporto.
Sempre storico è anche il secondo, e sempre ambientato a Istanbul... "Parle-leur de batailles, de rois et d'éléphants", di Mathias Enard , in cui lo scrittore fantastica su una possibile commessa a Michelangelo Buonarroti proveniente dalla Sublime Porta. Letto in francese. Carino.
"Il canto del Profeta" di Michael Lynch , ambientato in un futuro distopico in cui un governo dittatoriale si afferma e comincia a dare la caccia a chiunque si opponga, provocando l'inizio di forme di resistenza... Bel romanzo: cupo, con sviluppi tristi, tiene agganciati dalla prima pagina all'ultima.
"Lucy davanti al mare", di Elisabeth Strout: non mi piace il tipo di scrittura, molto colloquiale, lineare, che la scrittrice, o la traduttrice, ha deciso di abbracciare. La storia "non storia", legata al venir fuori della minaccia Covid a metà del 2020 negli USA, è soprattutto una storia legata all'affrontare la terza età con tutte le sue implicazioni di salute traballante, figli che si allontanano, precedenti partners che come fantasmi emergono saltuariamente dal passato, sfera sentimentale e sessuale da adattare a una realtà diversa... Il romanzo scava nell'intimo della protagonista, nelle sue riflessioni e nei tentativi di destreggiarsi nella bolla creata a causa del Covid. Non male, ma in genere preferisco altro.
"Il canto dei cuori ribelli", di Thirty Umrigar, un bel romanzo ambientato in un'India rurale ancora profondamente spaccata dalla contrapposizione fra hindu e mussulmani. Storia d'amore inter-religioso che finisce male.
"Fuoco", di Shida Bazyar. Il caso ha voluto che lo leggessi prima e mentre ero in viaggio in Germania, e in un certo senso mi ha aperto gli occhi e la mente su un sistema sociale che all'apparenza sembra perfettamente funzionante. Non è sempre così facile, e il razzismo strisciante è una piaga che può roderti l'anima. Difficile scrivere della trama, perché tutto resta in bilico fra una possibile realtà e il desiderio della voce narrante di trovare una via d'uscita.
"La ricreazione è finita", di Dario Ferrari. A me è piaciuto un sacco, l'ho passato, credo lo regalerò in versione cartacea perché merita. Il libro passa da un registro buffo, umoristico, a uno più serio nella seconda parte, con scioltezza, senza risultare forzata, anzi dando concretezza al testo, con una credibile ricostruzione degli anni di piombo come potevano essere vissuti all'interno di una cittadina toscana. Mi ha fatto pensare a mio fratello in quel di Arezzo in quegli anni, e alle perquisizioni in casa: ecco, queste storie hanno quel genere di credibilità. Bello, bravo Ferrari, e mi stupisco che nel 2023 non sia rientrato nella sfera magica dello Strega.
"Il filo della tua storia", di Nikki Erlich. Ah beh, a parte la contrapposizione fra "filicorti" e "fililunghi", dimenticando che esistono un mare di lunghezze medie in mezzo a quelle estreme, e a parte che la cosa più semplice, se davvero capitasse di trovarsi davanti a una realtà fantastica come quella narrata, sarebbe di fottersene e non aprire la scatola, tanto quello che deve accadere accade lo stesso, il romanzo è sicuramente godibile e induce alla riflessione.
"Il silenzio", di Don De Lillo, un racconto praticamente, è brevissimo. Del tipo, "che succede se tutta questa tecnologia su cui ormai facciamo affidamento all'improvviso smettesse di funzionare?" Bella domanda, a cui De Lillo risponde con i vaneggiamenti di una serie di personaggi a cui è difficile dare molto credito. Non indimenticabile, di De Lillo ho letto sicuramente di meglio.
Finiamo con "The Midnight Library", di Matt Haigh, letto in inglese. Una trentacinquenne sfigata tenta il suicidio, ma si ritrova davanti alla possibilità di scoprire che tutte le svolte immaginate e lasciate fuggire nel corso della sua vita non avrebbero portato a nulla di buono, e che comunque ogni scelta, anche la più piccola, può avere un significato che va oltre a quanto è possibile immaginare. Molto bello, o almeno, a me è piaciuto tanto.
0 notes
Text
Deadpool: il cinecomic che non ti aspetti
Il celebre mercenario chiacchierone della Marvel arrivato nel 2016 sul grande schermo come protagonista assoluto, con il volto di Ryan Reynolds. E il risultato è un film divertentissimo, oltre che un elemento di rottura in un ambito piuttosto prevedibile come quello dei film di supereroi.
Wade Wilson, di professione mercenario, vive felicemente con l'amata Vanessa fino al giorno in cui scopre di avere un tumore in fase terminale. Disperato, accetta di partecipare ad un esperimento clandestino che gli consentirà di sopravvivere. Vivo ma sfigurato, Wade è ora praticamente invincibile ed assetato di vendetta. I suoi tentativi di rintracciare chi gli ha rovinato l'esistenza provocano spesso morte e distruzione, attirando l'attenzione degli X-Men…
Wade chi?
Ryan Reynolds e le sue spade in una scena di X-Men - Le origini: Wolverine
Nei fumetti è una presenza più o meno fissa da molti anni, mentre al cinema l'abbiamo visto solo di sfuggita, in una versione che non ha convinto molto i fan, in X-Men - Le origini: Wolverine. Parliamo di Wade Wilson alias Deadpool, che in occasione del suo cameo riuscito a metà, e non per colpa dell'attore, aveva le fattezze di Ryan Reynolds. Dopo quella prima disavventura, l'attore canadese ha dovuto aspettare per dare al pubblico il Deadpool che si meritava, ossia il beniamino di molti lettori affezionati della Marvel: un personaggio estremo, sboccato, politicamente scorretto, loquace fino all'eccesso e - questo un dettaglio di non poco conto - consapevole del suo essere un (anti)eroe dei fumetti. Caratteristiche, queste, che hanno a lungo fatto venire l'orticaria ai dirigenti della 20th Century Fox, poiché ritenevano impossibile conciliare il mondo violento ed autoironico del mercenario chiacchierone con quello più "per tutti" degli X-Men. È soprattutto per questo motivo che Reynolds, coinvolto anche come produttore al fine di tutelare i "diritti" del personaggio, e il regista esordiente Tim Miller hanno dovuto fare i conti con un budget di circa 50 milioni di dollari, un quarto di quello che viene speso, in media, per un cinecomic di prima categoria. Un prezzo che i due hanno pagato con piacere, pur di poter realizzare il film che volevano, senza censure. E così è stato.
Partire col piede giusto
Deadpool: Ryan Reynolds sulla copertina di Entertainment Weekly
Qualunque timore su una possibile scarsa aderenza alla componente "meta" della fonte viene smentita già nei titoli di testa, dove le tradizionali scritte relative a cast e troupe ci fanno sapere che stiamo per vedere "un film di un cretino", prodotto da "deficienti" e interpretato da "un perfetto idiota" (Reynolds), "una gnocca" (Morena Baccarin), "un cattivo inglese" (Ed Skrein) e così via, fino alla menzione del "cameo gratuito" (Stan Lee).
Da quel momento è una successione di sangue e battutacce che non risparmiano niente e nessuno, dalla continuity a dir poco ingarbugliata del franchise mutante alle doti recitative dello stesso Reynolds, passando per le spese di produzione e varie caratteristiche ricorrenti dei cinecomics; incluso il momento post-credits, che al contempo prende in giro e mantiene viva la tradizione dell'allusione a un possibile sequel. Per certi versi abbiamo a che fare con un Kick-Ass elevato alla decima potenza, in termini di riflessione ironica ma amorevole sul genere. E a proposito di amore…
"Questo non è un film di supereroi, è una love story"
Deadpool: Ryan Reynolds in un'immagine tratta dal film
Si ride tantissimo, soprattutto per le tante citazioni che forse non tutti riusciranno a cogliere, ma Deadpool, per quanto irriverente, non è una parodia, poiché deve rimanere (minimamente) ancorato nell'universo prestabilito degli X-Men. E siccome non avrebbe senso riciclare una delle storyline legate a Wolverine e soci (anche perché Deadpool, in quanto non propriamente mutante né X-Man, si muove in ambienti leggermente diversi), le motivazioni del protagonista sono molto più "terra terra" grazie alla sua relazione, spassosa ma anche commovente, con la bella Vanessa, interpretata con la giusta dose di sensualità mista a fragilità e senso dell'umorismo, da un'ottima Morena Baccarin. Merito di un copione spumeggiante e ricco di trovate, nonché di una colonna sonora volutamente sdolcinata e per questo azzeccatissima.
La rivincita di Reynolds
Deadpool: Brianna Hildebrand e Ryan Reynolds interpretano Ellie Phimister e Wade Wilson
Detto tutto ciò, il vero asso nella manica rimane l'uomo che interpreta Deadpool, solitamente destinato a brillare, o per lo meno fare dignitosamente il proprio lavoro, in pellicole di genere poco riuscite come Blade: Trinity o Lanterna verde (brillantemente preso in giro non una ma due volte). Dotato di una certa "faccia da schiaffi" e di ottimi tempi comici, l'attore si è visibilmente divertito a dare a Wilson il trattamento cinematografico che meritava, dopo l'umiliazione della bocca cucita nel 2009. E noi ci divertiamo altrettanto grazie alla sua performance che trasuda passione, autoironia ed irriverenza, in misure tali da far morire di invidia il Tony Stark di Robert Downey Jr., dovesse mai avere luogo un crossover.
Alla prossima?
Deadpool: una nuova foto che ritrae Colossus
Difficilmente vedremo Deadpool in uno dei film "normali" degli X-Men, per via della caratterizzazione sua e degli altri mutanti (vedi la figura che fa il povero Colosso in questo film). Sarebbe invece già in cantiere un secondo lungometraggio dedicato al Mercenario, al quale fa allusione, come abbiamo già detto, la brillante sequenza post-credits. Basta che non vi aspettiate un cameo alla Samuel L. Jackson ("Non abbiamo i soldi per quello!", dice Deadpool)…
#recensione#review#disney plus#deadpool movie#deadpool#wade wilson#deadpool 3#deadpool and wolverine#marvel comics#marvel#20 century fox#colossus#rayanreynolds
1 note
·
View note
Text
"La colonizzazione e la cancellazione identitaria"
di Riccardo Rescio
"Welcome to Barerarerungar" è il titolo della Mostra dell'Artista indigena australiana Maree Clarke.
La prima esposizione monografica in una istituzione pubblica del vecchio continente curata con maestria da Valentina Gensini e Renata Summo O'Connell, realizzata grazie al supporto di MUS.E nell'ambito dell'innovativo Progetto RIVA.
La Mostra segna un momento cruciale nella scena artistica e culturale europea, offrendo un palcoscenico prestigioso all'Artista indigena australiana Maree Clarke.
Questo evento è stato reso possibile dall'impegno dell'Università degli Studi di Firenze, che celebra il proprio centenario con il Progetto Fuori Sede, e dall'indispensabile contributo della Fondazione CR Firenze.
La Mostra trasforma lo spazio espositivo in un dialogo aperto e coinvolgente con le opere site-specific create da Clarke durante la sua residenza presso il MAD Murate Art District, dispiegandosi in due location distinte ma complementari, il MAD e le installazioni sulle facciate delle antiche carceri del Complesso delle Murate, e una imponente opera nel Museo di Antropologia e Etnologia-Sistema Museale di Ateneo.
Al di là della rilevanza artistica e della maestria tecnica, di Maree Clarke "Welcome to Barerarerungar" assume una dimensione eticamente significativa e profondamente attuale attraverso il suo focus critico sull'inaccettabile comportamento dei cosiddetti colonizzatori.
Attraverso la potente voce visiva di Clarke, la Mostra non solo celebra la ricchezza culturale e spirituale delle popolazioni indigene australiane, ma solleva anche un imperativo riflessivo sugli orrori perpetrati nel corso della storia da coloro che, spinti dall'avidità e da un malinteso senso di superiorità, hanno sterminato le popolazioni locali per conquistare nuove terre.
"Welcome to Barerarerungar" diviene un forte catalizzatore per una riflessione più ampia sulla necessità di riconoscere e riparare le ingiustizie storiche, promuovendo un dialogo aperto verso la comprensione, il rispetto reciproco e la coesistenza pacifica tra culture diverse.
L'evento vuole essere un ponte tra passato e presente, invitando il pubblico a confrontarsi con le dure verità e le memorie collettive, spesso ignorate o dimenticate, legate al processo di colonizzazione. Attraverso l'espressione artistica, Clarke fornisce una testimonianza viscerale dell'impatto devastante che tale processo ha avuto sulle comunità indigene, sottolineando la resilienza, la forza e la sopravvivenza di questi popoli di fronte a tentativi di annientamento culturale e fisico.
In ultima analisi, "Welcome to Barerarerungar" non è solo una Mostra è un atto di memoria e di resistenza che sfida i visitatori a riflettere sulle proprie convinzioni e sul proprio ruolo nella costruzione di un futuro in cui le atrocità del passato non trovino più spazio.
È un invito a riconoscere il valore intrinseco di ogni cultura e la ricchezza che la diversità apporta al tessuto condiviso dell'umanità.
Firenze 11 aprile 2024
Murate Art District MUSE Firenze Fondazione CR Firenze Città di Firenze Unifi
0 notes
Text
Da secoli l’uomo si interroga sul mistero della vita , uno dei tentativi piu’ diffusi di relazionarsi con questa dimensione misterica è la “preghiera”.
La preghiera è il bisogno di dialogare col “sacro” e si diversifica in molteplici forme e differenti scopi. Può essere un canto di lode, una richiesta di aiuto, una danza di invocazione o un rosario da recitare. Proprio questo ultimo manufatto è una nuova tappa del progetto “Pray” dell’artista Domenico Olivero, col supporto curatoriale di Monica Giordano.
Dopo la prima fase, svoltasi nel 2016 presso i laghi di Roburent, con le bandierine di preghiera, è la volta dell’antico bosco della Riserva Naturale Crocetta, vicino a Cuneo, ad accogliere un nuovo intervento di riflessione sulle pratiche spirituali che alcuni esseri umani vivono.
Questo lavoro artistico nasce dalla volontà di produrre un manufatto destinato alla preghiera slegato da uno specifico culto religioso.
L’opera , in forma di rosario , è stata ideata sulla base di alcune pratiche mistiche presenti nelle principali religioni, riletta in una chiave estetica più solare.
Tutte le culture umane hanno la necessità interiore di sviluppare un rapporto fra l’essere umano e il mondo “esoterico” che percepisce.
Il progetto Pray intende produrre una serie di manufatti artistici per persone che non si riconoscono in un preciso orientamento religioso ma sentono comunque il bisogno di una pratica spirituale ; le opere sono così progetti agnostici di metafisica.
Sabato 18 Agosto alle ore 10,00 presso il bosco della Riserva Naturale Crocetta avrà corso un’azione performativa e la presentazione del nuovo lavoro dell’artista.
La zona è facilmente raggiungibile dal parcheggio pubblico, area Riserva Naturale Crocetta, posto a 500 metri dal numero 100 del Viale Federico Mistral a Cuneo.
#arte#arte contemporanea#contemporary art#domenicoolivero#oliverodomenico#art#olivero domenico#domenico olivero#domenico#olivero
1 note
·
View note
Text
La presentazione del libro "La sinistra sociale" di Giorgio Merlo, svolta presso la Sala Capitolare del Senato a Roma, si trasforma in una profonda analisi che getta luce sui dilemmi attuali dell'Italia e mette in discussione l'assetto politico del Paese. Matteo Renzi, Pier Ferdinando Casini, il leader Cisl Luigi Sbarra, monsignor Luigi Paglia e Gianfranco Astori, consigliere per l'informazione del presidente Sergio Mattarella, si sono uniti alla presentazione del libro, evidenziando un appello a preservare e, se possibile, a recuperare gli insegnamenti della sinistra sociale. Merlo, autore del libro, ha sottolineato che la sinistra sociale è stata più di una corrente politica all'interno della DC, rappresentando storicamente una parte significativa della società italiana, focalizzandosi su interessi legittimi come il mondo del lavoro e le piccole e medie imprese. Una visione diametralmente opposta alla "politica delle mance" degli ultimi anni. Gianfranco Astori ha rimarcato la visione multilateralista in politica estera e il ruolo della sinistra sociale nell'affermare le autonomie locali, culturali e funzionali, insieme al principio della libertà. Il tema della pace, ha affermato Astori, potrebbe oggi caratterizzare una responsabilità di lettura di ciò che accade. Monsignor Paglia ha sottolineato il ruolo sociale del cristianesimo e la necessità che la Chiesa fermenti l'intera società, ma ha lamentato la mancanza di una visione unificante in Italia. Nonostante ciò, ha affermato afferma che i cattolici rimangono un punto di forza nel Paese. Luigi Sbarra, leader Cisl, ha denunciato la politica odierna, che sembra un gigantesco ring di battute, invitando a misurarsi sui contenuti e a valorizzare l'interesse generale. Sbarra ha auspicato un sindacato che eviti il populismo sociale e si assuma la responsabilità delle scelte giuste, anche se impopolari, proponendo un nuovo patto sociale moderno per la crescita e lo sviluppo. Matteo Renzi, criticando il Movimento 5 Stelle, ha affermato che la vera emergenza sociale non è solo la povertà, ma la scomparsa del ceto medio. Avvertendo che il Partito Democratico originario è scomparso e richiamando l'attenzione sulle questioni trascurate. Pier Ferdinando Casini ha infine messo in guardia dall'idea di riportare in vita la Democrazia Cristiana, riconoscendo però il merito di Merlo nel avviare una riflessione. Sottolinea che il lascito della DC è una democrazia inclusiva, ma avverte sul rischio di tentativi ridicoli di "rifondazione". In conclusione, il dibattito ha offerto un'analisi approfondita della sinistra sociale, proponendo riflessioni su come possa influenzare il futuro politico dell'Italia. Una discussione che rinnova l'importanza di valori inclusivi e il ruolo fondamentale della sinistra sociale nella storia italiana.
0 notes
Text
Com'è la miglior maniglia in bronzo per una porta blindata?
La scelta della miglior maniglia per una porta blindata in bronzo è una decisione che richiede una riflessione seria e attenta, considerando la necessità di coniugare sicurezza, durabilità ed estetica. Il bronzo, materiale con una lunga storia di impiego in manufatti di prestigio, si presta particolarmente bene per le maniglie di porte blindate, offrendo una combinazione di resistenza e bellezza senza tempo.
Quando ci si impegna nella selezione della miglior maniglia per una porta blindata in bronzo, la resistenza del materiale è uno degli aspetti primari da considerare. Il bronzo, noto per la sua robustezza e resistenza alla corrosione, assicura che la maniglia possa affrontare le sfide quotidiane senza compromettere l'integrità strutturale. La miglior maniglia in bronzo diventa quindi un investimento nella sicurezza a lungo termine dell'abitazione.
La sicurezza, naturalmente, è una priorità in una porta blindata, e la scelta della miglior maniglia in bronzo ne diventa un elemento chiave. La solidità del bronzo contribuisce a garantire che la maniglia resista a tentativi di effrazione, fornendo un livello aggiuntivo di protezione per l'accesso alla casa. La miglior maniglia in bronzo diventa così un deterrente efficace contro intrusioni indesiderate.
L'estetica, tuttavia, non è da trascurare nella ricerca della miglior maniglia per porta blindata in bronzo. Il bronzo, con la sua lucentezza e il caratteristico colore dorato, conferisce un tocco di eleganza senza tempo a qualsiasi ambiente. La lavorazione artigianale della miglior maniglia in bronzo può presentare dettagli intricati che aggiungono valore estetico all'accessorio, integrandolo armoniosamente con lo stile complessivo della porta blindata.
La ricerca della miglior maniglia in bronzo implica anche una considerazione della praticità. La forma e il design della maniglia devono facilitare un utilizzo agevole e confortevole, garantendo un'esperienza d'uso quotidiana senza intoppi. La miglior maniglia in bronzo non è solo un elemento di sicurezza, ma anche un accessorio funzionale che deve soddisfare le esigenze pratiche dell'utilizzatore.
La manutenzione è un altro aspetto da considerare nella scelta della miglior maniglia per una porta blindata in bronzo. La resistenza intrinseca di questo materiale riduce la necessità di interventi frequenti, ma è sempre consigliabile adottare pratiche di manutenzione regolari per preservare la bellezza e le performance della maniglia nel tempo.
In conclusione, la ricerca della miglior maniglia per una porta blindata in bronzo è un processo che richiede attenzione a diversi fattori. La combinazione di resistenza, sicurezza ed estetica rende il bronzo una scelta eccellente per chi cerca un accessorio che armonizzi con la funzionalità e l'eleganza.
Anche avere dei tappeti belli, puliti e a posto è importante ai fini dell'estetica della casa.
0 notes
Text
La conoscenza dei limiti, tuttavia, può essere altrettanto stimolante e foriera di energia quanto deprimente e invalidante: se non possiamo eliminare tutte le sofferenze, possiamo eliminarne alcune e attenuarne altre: vale la pena di provare, e di provarci ripetutamente. E noi ci proviamo, mettendocela tutta, e in questi tentativi reiterati consumiamo gran parte delle nostre energie e della nostra attenzione, lasciando poco spazio alla riflessione mesta e alla preoccupazione che alcuni miglioramenti altrimenti auspicabili rimangano assolutamente fuori portata, rendendo tutti i tentativi di raggiungerli uno spreco di tempo prezioso.
Zygmunt Bauman, Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido
1 note
·
View note
Text
A.I. Artisanal Intelligence: “Prove Tecniche di Trasmissione”, memorie di una mostra
“L’abito è anche un costume di scena ed è uno dei più potenti mezzi di comunicazione”: una frase che risuona salda, un’affermazione che prende per mano l’attenzione e la conduce al di là dell’apparenza meramente modaiola, all’interno di un percorso di ricerca intellettuale e materica eccellente, racchiuso in una mostra curata da un’istituzione altrettanto eccellente: ovvero “A.I. Artisanal Intelligence”.
L’occasione specifica è l’appena trascorsa edizione di AltaRoma, le giornate dedicate all’alta moda italiana allacciate anche alla promozione della nuova creatività stilistica in fermento: splendore sartoriale e ricerca intellettuale, dove ben s’incastona la mostra intitolata “Prove Tecniche di Trasmissione”, accaduta negli spazi del Guido Reni District dal 6 al 9 luglio scorsi.
Seppur terminata, la mostra lascia tracce pregiate di una riflessione rivelatrice: grazie alla cura di Clara Tosi Pamphili e Alessio de’ Navasques, essa accosta l’arte del costume alla creazione di moda, individua nella sartorialità artigianale il cuore che pulsa in comune per entrambe, e nella fase di prova un momento di sperimentazione fondamentale a sé stante, condensato nell’imperfetta imperfezione. Moda e costume si appaiano, ça va sans dire, già dall’organizzazione: a comporre tale percorso espositivo sono state chiamate, infatti, l’Accademia di Costume e Moda, che da mezzo secolo affianca nella formazione le due discipline, assieme alle storiche sartorie teatrali della capitale, la Sartoria Farani di Luigi Piccolo, the One, e Pompei per le scarpe; tutte romane, come spiccatamente romana è l’attitudine a far collaborare e contaminare il costume e la moda.
Il fil rouge che si srotola nel percorso è suggerito già nel titolo: “Prove Tecniche di Trasmissione” proviene dagli archivi televisivi italiani, da quei primi anni ’70 in cui la tv subiva la metamorfosi dal bianco al nero verso il colore, ed un programma sperimentale mandava in onda immagini studiate per provare gli effetti cromatici della nuova tv. Oggi, dunque, quei tentativi son simbolo di una nuova possibilità di creazione, dove i confini di separazione tra la prova e la trasmissione sfumano e, nel linguaggio sartoriale, trovano una nuova dimensione di concretezza: qui il tempo della lavorazione che conduce al bello della realizzazione finale e finita si scompone, si cristallizza nelle fasi intermedie, spalanca nuove visioni.
Il viaggio d’esperienza ha inizio nell’arte: l’opera di Isabella Ducrot - le carte dipinte della serie “Abiti” e un grande fondale teatrale del 2016 per l’opera “Hanjo” di Marcello Pann- incarna i valori essenziali della ricerca e rielaborazione degli archivi, della manipolazione del manufatto tessile per dargli una nuova vita pittorica, del non-finito che in quanto prova è già perfetta e poetica, e per questo fornisce alla contemplazione gli strumenti per affrontare i passi successivi. Dall’arte tout-court all’arte costumistica, la mostra prosegue con l’incontro con gli abiti frutto del talento misto alla couture del pluripremiato Gianluca Falaschi, per poi immergersi nell’atmosfera più giovane, esordiente, ma altrettanto ricca di valore, di dieci designer.
Dieci storie di riflessione, lavorazione e sperimentazione sull’artigianalità virtuosa, la sartorialità meticolosa, il design creativo innovativo e a tratti estroso, la sfida col tempo per raggiungere la concretezza che qui si sospende per lasciare spazio alle fasi di preparazione dispiegate sui tavoli da lavoro. Dieci nomi che son quelli della tedesca Marie Louise Vogt con i suoi virtuosismi all’uncinetto; dell’indiana d’origine, londinese di nascita e nomade di spirito Bav Tailor che plasma capi di lusso sostenibile; del Pakistano Wali Mohammed Barrech che racchiude storie di viaggio nelle sue borse geometriche; dell’asiatica Alysée Yin Chen che scolpisce forme organiche nel tessuto; dell’italiana Fase Factory che mescola lo sportswear luxury alla filosofia di design nipponica. Altrettanto italiani sono la mescolanza di artigianalità e innovazione del collettivo Apnoea, la fusione di rigore costruttivo e armonia volumetrica di Giuseppe Buccinnà, la naturalezza quasi cruda ed essenziale di Asciari, il design che vive dentro lo sorrere del tempo delle borse Trakatn e le opere d’arte scultorea delle borse firmate Roberto Scarantino.
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
#A.I. Artisanal Intelligence#Altaroma#nuovi talenti#moda indipendente#Mad in Italy#fashion writing#webelieveinstyle#Accademia Costume e Moda#mostra di moda#moda e arte
0 notes
Text
Se vogliamo dare una struttura al "linguaggio psicologico" credo di concordare con Lacan nell'individuare un forte uso di metonimie e metafore. Prendiamo l'esempio del represso. Il represso, tanto quanto lo psicotico, parla per metafore e metonimie. Il bambino, tanto quanto lo psicotico, parla per metafore e metonimie in una maniera del tutto naturale ovvero un vocabolario limitato ed una immaginazione più libera. Una mente psicotica è una mente senza censura. Un linguaggio psicotico è un linguaggio letterale ma che risulta a noi benpensanti appunto metaforico e metonimico: perché se una psicotica dice che un membro della sua famiglia ha ucciso una bambina intende letteralmente dire che qualcuno ha ucciso una bambina, tuttavia per la psicotica quella bambina "uccisa" è proprio la psicotica – una sua parte almeno – da quel membro della famiglia che in qualche modo le ha fatto del male (fisico o mentale che sia). Gli esempi sarebbero infiniti per spiegare il largo uso che ne facciamo e come questo viene esasperato – ovvero reso molto più evidente – nelle malattie mentali. Fondamentalmente una malattia mentale è una barriera psichica benpensante che non è stata in grado di ergersi; le barriere mentali che usano le persone affette da malattie mentali sono barriere barocche, se vogliamo, che hanno una loro struttura particolare che non rientra nelle strutture socialmente accettabili. Per questo a volte per curare la malattia mentale basta cambiare il linguaggio usato, a volte è necessario "preparare i neurotrasmettitori" (cit.) ad accogliere un cambiamento della struttura linguistica; altre volte l'intervento è fondato inizialmente e fondamentalmente (per un periodo più o meno lungo) dall'interpretazione (cosa sta cercando di raccontarmi, di comunicarmi attraverso i suoi deliri?). Tanto il paziente si sentirà capito, tanto svelerà attraverso il suo racconto ("delirio", "allucinazione") la sua malattia. Lì dove non si sentirà capito il suo linguaggio diventerà più criptico. Credo che valga nei casi più "lievi" come nei "casi limite". Escludere la componente linguistica e quindi interpretativa dalla psicoterapia credo che sia sciocco e utile solo a produrre prodotti umani in serie.
7 notes
·
View notes
Text
"Non è impossibile arrivare al benessere!" (Riflessione testimonianza)
Mi chiamo Francesca R., sono originaria di Terni e , sono arrivata a MondoSole inconsapevole di quello che poi sarebbe stato il mio percorso scoraggiata anche dai miei tentativi di cura precedenti non riusciti, non credevo assolutamente si potesse guarire da questa tipologia di malattie ma solamente conviverci invece, una volta fatto il colloquio con Chiara, ho ritrovato quel filo di speranza che mi diede la forza di tentare di nuovo, grazie alle sue parole, allo sguardo di chi sa cosa significa vivere nel buio per tanti anni. Soffro di disturbi alimentari da tanti anni, inizialmente emersi con l’anoressia, successivamente evoluta in binge, accompagnato sempre da una fortissima iperattività ma tra alti e bassi ero sempre andata avanti fino a quando pochi mesi dopo aver realizzato quello che reputavo il sogno della mia vita, l’obiettivo da raggiungere per avere la serenità, ed essermi sposata, sono crollata, non reggendo una situazione che era più grande di me.. io ancora “bambina” non sono riuscita ad affrontare una vita adulta.
Con il trascorrere dei mesi del percorso ho capito come il sintomo fosse in realtà solo la punta dell’ iceberg .....CONTINUA: https://buff.ly/43ClB5A
0 notes
Text
Renato Calaj BAUSTELLE/MERAVIGLIOSO CANTIERE Brescia, MO.CA Centro per le nuove culture curated by Gabriele Salvaterra May 19th - June 17th 2023 with exhibition catalogue
La mostra Baustelle / Meraviglioso cantiere porta un diffuso intervento site specific di Renato Calaj all’interno dei diversi e affascinanti ambienti del MO.CA di Brescia, per l’edizione 2023 di Meccaniche della Meraviglia. Il lavoro di Calaj trae spunto dalle suggestioni offerte da contesti grigi, marginali e di servizio, spazi dai quali solitamente non ci si aspetta nulla di speciale come periferie, snodi di collegamento stradale, incroci, abitazioni di fortuna, strutture temporanee, costruzioni in cemento e muri scalcinati. La personale riflessione dell’autore sui concetti di nonluogo e fatiscenza mira a rendere tali siti interstiziali l’argomento stesso della propria pratica, mettendo al centro ciò che usualmente si tende a tenere celato o a osservare con disattenzione. Tra cantiere e rovina, l’originale street art minimale e primitiva di Calaj riconverte il luogo di esposizione alternando alla propria produzione grafico/pittorica interventi installativi appositamente pensati per le sale dello storico palazzo. Questi accompagnano il visitatore tra “lavori in corso” che non si comprende bene a che obiettivo mirino. Si sta operando al restauro delle raffinate decorazioni del palazzo o siamo solo gli spettatori del definitivo smantellamento di questi reperti del passato? O, ancora, si tratta di un’azione di vandalismo perpetrata da giovani irrispettosi tanto della storia che ci è stata depositata quanto dei tentativi che mettiamo in atto per preservarla? Ciò che in fondo viene celebrato è esattamente l’idea di cantiere come strumento trasformativo che, senza nascondere il suo dietro le quinte, si pone come complessa piattaforma attraverso cui cercare di progettare il futuro.
#renato calaj#gabriele salvaterra#exhibition#baustelle#meraviglioso cantiere#Brescia#street art#installation#site specific#contemporary#young
0 notes
Text
Nardò-Ugento per niente amichevole.
Doveva essere un allenamento congiunto, una tipica partitella sotto il sole d'agosto con due squadre alla ricerca della forma migliore davanti ad un pubblico accorso numeroso per salutare i propri beniamini, invece il presunto allenamento è finito dopo appena 15' a causa di una serie di contrasti poco amichevoli e una serie di schermaglie e tentativi di rissa.
Purtroppo è la seconda volta che con l'Ugento finisce così. Una squadra che quando vede il Nardò si impegna più di una finale play off. Una giornata in cui ha perso lo sport e che invita alla riflessione sull'organizzazione di simili "amichevoli".
Il Nardò per la cronaca era sceso in campo con un 3-5-2 con Furnari in porta; Lanzolla, J. Russo e Gennari in difesa; De Giorgi e Inguscio esterni; Addae, Ceccarini e D'Anna a centrocampo; Dambros e Ferreira punte.
Il tempo di assistere a qualche bella trama di gioco un'occasione per parte poi i nervi tesi hanno prevalso sul calcio giocato.
0 notes
Text
Festa del lavoro: il tempo risorsa e condanna
La Festa del lavoro è il momento naturale per riflessioni su un tema che è sempre di grande (e scottante) attualità. Non a caso è il il giorno scelto dalla premier Meloni per un Consiglio dei ministri per approvare un nuovo decreto lavoro e presentare le nuove misure che sostituiranno il Reddito di cittadinanza. Misure che, nei disegni del governo, andranno elargite in maniera differenziata secondo il criterio dell'occupabilità. Intanto il mondo del lavoro, già stravolto dal forte sviluppo della digitalizzazione, sta per conoscere una nuova rivoluzione grazie all'Intelligenza artificiale. Facciamo qualche riflessione su scenari così diversi tra loro. Addio al Reddito di cittadinanza Partiamo dal criterio scelto dal governo Meloni per riformare il Reddito di cittadinanza: l'occupabilità. Una volta approvato il decreto, le nuove disposizioni prevedono, tra l'altro, che i soggetti occupabili non debbano rifiutare nessuna proposta di lavoro offerta attraverso i Centri per l'impiego, neanche se il contratto proposto ha la durata di un mese. Anche un solo rifiuto comporta la sospensione o la perdita del beneficio. Lasciando andare la commozione nel rivedere risorgere i Centri per l'impiego che da tempo hanno come unica utilità il certificare l'anzianità di iscrizione, il vulnus resta sempre lo stesso: un sistema organizzato con questi criteri alimenta la precarietà. Il lavoro nell'era digitale Mentre si procede con goffi tentativi di offrire strumenti per contrastare la povertà, il progresso tecnologico avanza lanciando sempre nuove sfide al mondo del lavoro. La digitalizzazione, che ha interessato un po' tutti i settori, ne è un esempio. Il settore pubblico affanna a tenere il passo mentre nel privato sono nate tante nuove realtà che progrediscono a ritmi pazzeschi e che coinvolgono i più giovani. Al tempo stesso sono nate nuove figure fragili, leggi rider, le cui fila si sono ingrossate grazie anche a cinquantenni ritrovatisi senza lavoro dall'oggi al domani. Un'altra rivoluzione sta per travolgere il mondo del lavoro: l'Intelligenza artificiale. Superata questa prima naturale fase di paura, la ritroveremo ovunque intorno a noi (più di quanto non lo sia ora). Secondo gli esperti l'Intelligenza artificiale ci aiuterà in mansioni complesse (e noiose) molto velocemente. In parole semplici l'Intelligenza artificiale ci donerà più tempo. Festa del lavoro: il tempo come risorsa e non come condanna Vediamo come il tempo stia diventando la parola chiave del capitolo lavoro ai nostri tempi. Il tempo determinato di un contratto che è la base della precarietà e il tempo da sottrarre al lavoro a beneficio "della nostra anima" come ha più volte dichiarato un noto imprenditore italiano. La parola che ancora non sentiamo, però, è tutela. Decenni di governi di sinistra (ahinoi) hanno smantellato un pezzo alla volta tutto il sistema di diritti dei lavoratori. Operazione che invece di modernizzare e vivacizzare il mondo del lavoro (come si era voluto far passare) ha impoverito sempre di più la nostra economia bloccando il cosiddetto ascensore sociale. Oggi si vogliono risolvere i problemi del lavoro, diventati sempre più gravi, impiegando i lavoratori come pedine. Lavorare un mese in un'azienda, due mesi in un'altra (e guai a rifiutare le offerte), impiegare le donne al posto degli extracomunitari. Quali saranno gli strumenti dei Centri per l'impiego? Saranno schemi simili a quelli che ritroviamo nei banchetti di nozze dove ogni tavolo deve essere completato secondo un preciso numero di posti? Attenzione: la zia Maddalena ha litigato con la cugina Valeria. In copertina foto di Pexels da Pixabay Read the full article
0 notes
Note
In merito alla questione " treni che passano" ....è un argomento che affronti spesso. Se ci fossero nuove fermate con uno di quei treni...ora,invece, ci saliresti?
...ma davvero do l'impressione di scrivere a riguardo di treni che passano? credo allora che ci sia qualcosa di strutturalmente sbagliato, nel mio blog e nel mio modo di redigerlo...io pensavo di parlare spesso di amore, di verità, di umanità, di natura e di mare, e spesso tramite goffi tentativi poetici...
...sono oggettivamente colpito da questa domanda, perché pensavo di essere tutt'altro e di essere da tutt'altra parte: mi silenzierò per un po', una riflessione profonda è doverosa.
#parolerandagie#parolerandagierisponde#sto sbagliando tutto#la verità ed altri disastri#meglio chiudere qui
8 notes
·
View notes